Faro

La mente ricorda di quando la televisione era in bianco e nero e i sogni a colori. Il piccolo schermo trasmetteva, per la tv dei ragazzi, I racconti del faro (1967), uno sceneggiato (oggi, in un impeto di obesa modernità, si dice fiction) dedicato alla vita di un vecchio obelisco del mare. I protagonisti erano il burbero Fosco Giacchetti, attore di razza, classe 1900, e un giovanissimo Roberto Chevalier. La coppia era collaudata, proveniva già da un grande successo televisivo, il David Copperfield (1965) di Anton Giulio Majano. Libero, questo il nome del guardiano del faro, piantato su di un isola deserta, apriva le comunicazioni con la terra ferma con quello che fu un tormentone tra gli adolescenti dell’epoca: “Libero chiama radio costa, rispondete! Passo”. Tra onde furiose, tesori nascosti ed esistenze alla deriva, nonno e nipote mostrarono la vita delle sentinelle del mare. Il fascino della luminosa solitudine, arroccata su rocce percosse dal vento e dai marosi, ha sempre fatto breccia nell’immaginario. L’idea  di una luce che possa guidare nell’universo liquido, che porti a compimento il respiro, un attimo prima sospeso nell’incertezza, rasserena l’animo del navigante. Due isolamenti che s’incrociano. Due storie per partorire un’unica vicenda, fatta di reciproca fiducia. “il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare” scriveva Giovanni Verga. E i guardiani della luce marina conoscevano bene i silenzi e l’improvviso fragore, il sibilare del vento e il volteggiare dei gabbiani. Sguardo e udito piantato lì, nell’apparente solitudine, in quel volubile monumento azzurro che “unisce i paesi che separa” (Plutarco).

11 pensieri riguardo “Faro”

  1. «Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai faraglioni, perché il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico.»

    La frase che hai citato non è di Luigi Pirandello ma di Giovanni Verga ,è tratta dal suo romanzo ”I Malavoglia”.Complimenti per il tuo blog e buon lavoro.

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  2. Ero piccola ma I racconti del faro e David Copperfield li ricordo benissimo. sai quante volte spero che alla tele riproponessero vecchie (ma solo per anno) serie, anche un pò più recenti, in biancoi e nero, con attori meravigliosi. Le rivedrei tutte. (La Cittadella, E le stelle stannoa guardare, Ho incontrato un’ombra….)
    Fiction di oggi non ne guardo.

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  3. Leggerti e con piacere tornare a ricordi ancora vivi e presenti in me.Sceneggiati che ora con ”obesa modernità” si chiamerebbero ”fiction”. Grande come sempre caro Giovanni. Ma attori oggi del calibro di un Fosco Giachetti, duro ma ricco di umanità, non credo che ce ne siano in giro. Senza offendere nessuno ti dirò che di ” E’ arrivata la felicità” non ho visto nemmeno una puntata. Sai sono rimasta troppo legata ad un modo d’intendere la televisione che faceva cultura, che oggi poco mi interessano le storielle di turno. Inutile aggiungere che le tue parole hanno saputo a meraviglia raccontare quella storia di nonno e nipote. rinfrescando la mia memoria.. E ancora risuona nelle orecchie quel ”Libero chiama radio costa, rispondete. Passo.” Grazie Giovanni caro. Un abbraccio felice accompagnato dal solito sorriso. Isabella

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  4. Che dire! Anche l intrattenimento richiedeva impegno e lo share nn gravata in ribasso!
    Ricordo piccolina la serata dedicata al teatro ricordo Govi ormai sconosciuto! Attori come Paolo Ferraris e Ilaria Occhini e ricordo l impegno di mi mamma nell educarci all arte!

    Sheraconunabbraccio

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