Andreina

Ho incontrato Andreina. Sono consapevole di provocare un gigantesco chissenefrega  o qualcosa di più spinoso. Per chiarire l’importanza dell’evento, tiro in ballo la scrittrice francese Simon De Beauvoir. Che il cielo degli indomiti pensatori mi perdoni. Ebbene, l’autrice de Il secondo sesso, saggio sui miti ancestrali che accompagnano la donna, sui complessi sessuali, sulla libertà dell’universo femminile, ragionando sull’idea di vera generosità, scrive: «Dai tutta te stessa e tuttavia ti senti sempre come se non ti fosse costato nulla». Ecco, Andreina è così, con la sua leggerezza d’animo, il concreto e istintivo donarsi. Se hai bisogno, tende la mano, e così sia. Non penso abbia mai conosciuto la legge del baratto. Quell’insidioso pensiero del dare per avere, nascosto in qualche rinnegata fibra del nostro cervello. Dinanzi alla percezione del disagio altrui, ha sempre sussurrato: «Come posso aiutarti?». E nessuno dei beneficiari ha ascoltato una richiesta di ritorno. Per intenderci, lei, prima di entrare in un bar, a prendere un caffè, mette insieme la mancia da lasciare al barista. Se non ha abbastanza monete, rinuncia alla sua pausa. Perché ha troppo rispetto per il lavoro degli altri, la fatica, come la chiama lei. Tutto questo, però, non deve trarre in inganno. La sua disponibilità non va confusa con l’assenza di personalità, con l’ancestrale voglia di essere benvoluti, ovunque e comunque. La sua natura non penso abbia parentela con la debolezza, non sottolinea la voglia di non fare.
A 23 anni pronunciò con dolcezza il suo sì, dinanzi a Dio e agli uomini. Non fu solo un gesto riparatore per quella creatura che portava in grembo. Voleva quell’uomo come marito, come complice di vita. Dopo la nascita della figlia, però, le cose cambiarono, comprensione e sentimento furono esiliati. Lui diventò aspro, pronto ad annientare ogni pensiero della giovane consorte. Le parole di Andreina venivano bollate con un “non capisci niente!”. Un giorno di aprile, dopo le urla, arrivò il primo schiaffo. Lei, arrampicandosi sugli specchi dello smarrimento, lo giustificò. Alla fine di giugno, nuove urla, insulti e ancora schiaffi: uno, due, tre. Ai primi di luglio, la donna mise dei vestiti in una borsa, prese in braccio la figlia e volò via da quel nido di spine. Incominciò la giostra degli intermediari, del “vedrai, non lo farà più”, “è pentito”, “è stato un momento di nervosismo”. Persino i genitori, sangue del suo sangue, schiaffeggiarono la figlia con “cosa pensavi fosse il matrimonio? Tutte rose e fiori? Devi capire e sopportare. Non pensi a cosa dirà la gente? Chi ti prenderà con una figlia?”.
Andreina rifece la borsa, prese in braccio la figlia e volò via anche dal nido degli impavidi mamma e papà. Da allora, ha sempre affrontato la vita da sola, mai rinunciando alla sua dolcezza. Ha lavato scale, pulito uffici, lucidato mobili, accudito anziani. Così, ha cresciuto la sua piccola e pagato l’avvocato per la separazione. Tra qualche giorno otterrà anche il divorzio.
Andreina non ha studiato, ma ascolta e prende nota. In un taccuino, scrive le frasi che la colpiscono, le parole che l’affascinano, le storie che la emozionano. A dire il vero, fa un po’ di confusione, come quella volta che parlavamo di sincerità. “Sarebbe bello – disse – se davvero ci fosse una bocca dove infilare la mano e sentirtela morsicare perché hai detto bugie. Come quella di Roma, sì, la Bocca della Santità!”.  Persino nei suoi errori, trovo poesia, quella pura, commovente. Su sua richiesta, ho il privilegio di poter raddrizzare i suoi labirinti culturali.
“Devi farlo, sei mio amico”.
So che non è colpa sua. La famiglia aveva una sola regola: conta chi fa soldi. I libri, la scuola, l’educazione portano via tempo, denaro e non assicurano il successo. Quindi, presa la terza media, via per il mondo a guadagnarsi il cibo. Andreina ha lavorato, sempre. Nonostante i dettami familiari, crede con fermezza nella scuola, nei libri, nell’educazione. Crescere la figlia, serena, istruita, è pensiero costante. Certo, avrebbe voluto una famiglia, un compagno devoto, ma come dice sempre: “Ho imparato a volermi bene ed è tanto, credimi”. Non si sente sola e non fa sentire soli. Quando ha una manciata di minuti, mette sul naso una pallina rossa e va in ospedale, reparto di oncologia pediatrica. Lì, si trasforma in Regina Maruzzella, dei clown la più bella.

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